SULLE TRACCE CIMBRE DELLE NOSTRE ORIGINI
ambientazione storica tra vita e religiosità
(Si ringrazia la Parrocchia di Novale per la gentilezza dimostrata nel mettere a disposizione il materiale della mostra tenutasi presso l'oratorio don Bosco dal 13 settembre al 7 ottobre 2012)
Capitello degli "Apostoli": da sinistra , S. Leonardo, S. Sebastiano, Madonna col Bambino, S.Rocco, S. Antonio Abate, fine XIX / primi XX secolo
Località ventosa, Castello (Valdagno)
PRESENTAZIONE
“Sulle tracce cimbre delle nostre origini”. Si tratta di una ambientazione storica tra vita e religiosità, un’occasione unica ed originale per andare alla scoperta del nostro passato e delle nostre tradizioni, attraverso una accurata ricostruzione di ambienti domestici, di luoghi di culto e di lavoro dei nostri avi.
La storia delle comunità montane dei Sette Comuni dell’altopiano di Asiago, delle valli vicentine dell’Astico e del Leogra, dell’Agno e del Chiampo e dei tredici comuni veronesi della Lessinia, è legata in gran parte alla storia dei lavoratori teutonici, soprattutto bavaresi, chiamati cimbri (nella lingua tedesca zimberer, boscaiolo), che tra il 1000 ed il 1200 migrarono nei nostri territori come svegratori, scalpellini e carbonai, riducendo a coltura buona parte delle nostre terre tutte in bilico tra monte e piano.
Questi coloni portarono, oltre alle loro tradizioni ed alle occupazioni, anche i loro costumi e la parlata, della quale ancor oggi si trovano tracce in alcune espressioni, proverbi e toponimi della nostra lingua. Anche i nostri cognomi in parte sono derivati dai nomi di questi immigrati, i quali portarono anche espressioni e segni efficaci della loro religiosità. In questa esaustiva mostra ci sono alcune formelle sacre riprodotte in gesso da originali testimonianze disseminate nel vasto territorio cimbro, presenti nelle case, nei luoghi di lavoro o comunque di ritrovo e anche lungo i sentieri di collegamento fra le varie contrade.
Oggi più che mai c’è bisogno di radici e queste attraversano il nostro passato, riconsegnandoci il presente e ipotecando il nostro futuro, mettendosi ogni giorno in costruttivo confronto con gli altri. Questo storico allestimento è frutto di una proposta lanciata dal Consiglio dell’Oratorio e raccolta da un gruppo di volontari che ha lavorato alacremente per tre mesi: una comunità come Novale è degna di essere conosciuta e valorizzata perchè ha un retroterra culturale di tutto rispetto.
Annalisa Castagna (curatrice della mostra)
Particolare della ricostruzione di una contrada
BENESSERE E AMBIENTE
Quando pensiamo ai Cimbri, la prima immagine che ci viene alla mente di questo antico popolo, che poi antico non è, si lega al tipo di attività che ha caratterizzato il loro arrivo e la loro permanenza nei boschi dei nostri monti e delle nostre valli.
Era gente che dissodava la terra, che apriva ai raggi del sole aree densamente boscate. Era gente che, attraverso questo tipo di lavoro, duro, tenace, sudato, rendeva coltivabile e produttiva la terra. Una terra che aveva visto crescere solo alberi e arbusti e transitare animali selvatici.
Una realtà di ambiente peraltro assai affascinante dal punto di vista naturalistico, ma assolutamente non compatibile con le esigenze degli insediamenti umani. E dai terreni svegrati fecero uscire prati e pascoli per nutrire gli armenti allevati e campi lavorati per l’alimentazione diretta dell’uomo. La sopravvivenza, la sicurezza, la risposta ad ogni esigenza umana di quelle comunità venivano assicurate esclusivamente dalla terra. E la terra fu la loro fonte di vita, per centinaia di anni. Una terra sottratta alla natura: una natura trasformata e plasmata, più ospitale, più vivibile, sempre tenuta in massima considerazione.
Ma una natura che continuava a rimanere incombente, pronta a riappropriarsi del suo antico volto selvaggio, prorompente, invasivo, se non fosse stata costantemente frenata dalla assidua presenza umana. E quello che sta accadendo oggi, ai nostri giorni, con il venir meno dell’uomo e delle sue attività sul territorio agricolo montano, deve essere letto come il riappropriarsi del suo habitat da parte della natura.
La terra non è più il nostro datore di lavoro. Non è più la sola garanzia di tutte le nostre esigenze. Ci siamo rivolti altrove per assicurarci qualità di vita che la terra madre non potrà mai permetterci. E l’abbandono del territorio agricolo montano, che i nostri avi avevano faticosamente chiesto e ottenuto dalla natura, sta innescando il processo inverso. La natura, non più gestita, si sta riprendendo quello che per secoli ci ha dato in cambio della sua cura. Spazi agricoli coltivabili stanno soffocando sotto l’incalzare di sterpaglie, rovi e piante infestanti. E i boschi rinselvatichiti cominciano a lambire casolari e contrade. La sicurezza e la vivibilità del nostro territorio montano iniziano ad essere messe in discussione.
Dobbiamo ammettere che da parte nostra, figli degli antichi Cimbri, vi è l’assoluta incapacità di far camminare assieme i due termini del binomio più importante per la società: benessere e ambiente. Loro, molto più consapevoli di noi, avevano scelto l’ambiente. Noi, con grande miopia, il benessere. Ma l’attenzione al benessere, senza l’attenzione all’ambiente, porta a percorrere una strada che si concluderà in fretta.
Fernando Manfron (Prersidente comunità montana Agno-Chiampo)
RELIGIOSITÀ CIMBRA
I migranti cimbri che si insediarono sulle montagne dell’alto vicentino e dell’alto veronese erano già cristianizzati, ma portarono con sé anche tradizioni pagane confondendoli, talvolta, nella religiosità. Effettuavano rituali magici e credevano nelle figure mitiche come le streghe, le fate, le anguane e gli orchi. Davano ascolto ai sogni premonitori, cercavano di controllare le forze della natura ed erano certi dell’influenza della luna sulle attività umane. Su queste credenze erano istituite delle manifestazioni atte ad arginare o esorcizzare gli eventuali effetti negativi. Ma i cimbri, in forza di un antico privilegio concesso da Signori e Vescovi, potevano anche scegliersi un prete originario delle loro lontane terre, purchè non gravasse sull’economia del borgo. In altre parole, i preti tedeschi che esercitavano il loro ministero sacerdotale presso la popolazione cimbra, dovevano essere mantenuti dalla collettività stessa.
Tale privilegio rimase in vigore fino alla seconda metà del XVI secolo, allorchè il Concilio di Trento (1545 – 1563) per timore della diffusione del protestantesimo, diede attraverso i vescovi precise disposizioni atte ad eliminare dalla cultura religiosa tutto ciò che poteva ricondurre al mondo germanico e quindi anche i preti tedeschi.
Il prete, presso queste genti, era una figura importante perché, oltre a parlare la lingua originale, conosceva il latino e l’italiano ed essendo la popolazione pressoché analfabeta, faceva da tramite in occasione di stipula di contratti, compravendite, richieste di licenze, petizioni e documenti vari. Non solo. All’occorrenza, e certamente le occasioni non mancavano, la gente si rivolgeva al prete anche per consigli di natura sanitaria e sociale. Capitava di incontrare preti esperti in erboristeria, capaci di confezionare con le erbe adatte efficaci infusi contro alcuni malesseri. Poteva essere psicologo e paciere in caso di controversie tra familiari e paesani. I cimbri esprimevano la loro fede attraverso la devozione a Dio, alla Madonna ed ai Santi.
Molti sono i “capitelli”, stele confinarie, pitture murali ed altro a ricordare la schietta ed avvertita devozione per questi santi invocati a protezione, ancora presenti sul territorio montano dell’Alta Valle dell’Agno. Le sacre immagini sono raffigurate in forme semplici, essenziali, uscite da mani d’artista guidate da un profondo senso di religiosità. Alcuni dei Santi ricordati sono eletti protettore di territorio parrocchiale, o titolari di cappelle devozionali e oratori: S. Antonio Abate (Recoaro Terme), S. Leonardo (Fongara), S. Margherita (Rovegliana), Santa Caterina (Cerealto).
Vittorio Visonà (Pro loco Valdagno)
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Si è conclusa a quota 4.078 visitatori la mostra “Sulle tracce cimbre delle nostre origini”, una ambientazione storica tra vita e religiosità allestita nella ex cappella dell’Oratorio “Don Bosco” di Novale, oggi destinata a diventare una sala polifunzionale al termine dei lavori di ristrutturazione. È stata un’occasione unica ed originale per andare alla scoperta del nostro passato e delle nostre tradizioni, come ricordato nel pieghevole di presentazione. Le visite sono avvenute unicamente con una guida che spiegava le caratteristiche del piccolo borgo progettato dall’artista novalese Renato Bicego e realizzato dal suo staff di carpentieri e pittori. L’inaugurazione ha avuto luogo il 13 settembre alla presenza delle autorità locali e di Vito Massalongo, direttore del Curatorium Cimbricum Veronense: fino al 7 ottobre è stato tutto un susseguirsi di persone e di scolaresche desiderose di conoscere la vita dei Cimbri. La visita partiva proprio dalla collocazione storica di questa popolazione giunta dalla Baviera intorno al XIII° secolo per rendere coltivabili le nostre terre e stanziatesi dall’Altopiano dei Sette Comuni all’Alta Lessinia. Poi la spiegazione toccava le attività e gli ambienti di lavoro ricostruiti: la priara, dove venivano scolpite le testimonianze di fede (che ancora oggi sono visibili come il Capitello degli Apostoli in località Ventosa al Castello di Valdagno); la carbonara, dove fino ad epoca recente veniva prodotta la carbonella da utilizzare per il riscaldamento con i bracieri; la casara, dove veniva lavorato il latte per produrre tutte le specialità che ancor oggi consumiamo sulle nostre tavole; l’allevamento del bestiame, da cui si traeva gran parte dell’alimentazione dell’epoca. Molto interessanti sono state anche le cucine dove era usanza in tempi più recenti fare filò: ammiratissima la fontana al centro della ampia corte cui si accedeva da un tipico arco ed anche il vespasiano collocato nelle vicinanze di una piccola stalla. Sono stati ricostruiti i vari tipi di tetto presenti nelle località cimbre ed al sabato precedente la giornata di chiusura del 7 ottobre, affollatissima, c’è stata una serata di letture e canti di Giazza. Ora, spente le luci sulla mostra, si sta cercando una collocazione definitiva per l’opera, frutto di tre mesi di lavoro da parte degli abili volontari del paese: allo scopo è attiva la casella postale Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. dove possono essere richiesti anche i dvd dell’inaugurazione.
Dal Lago Mario (coordinatore del comitato organizzatore)
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